13.12.12

INFINITO


Giustina Kim GANDOLFI, soprano
Gianluca MAVER, organ

12.12.12

FOX JUICE (milk with peppermint) - première

Pietro TONOLO, tenor saxophone
Giovanni MANCUSO, electric piano
Andrea CARLON, electric bass
Peter GALLO, drums



5.11.12

Elliott Carter


Il grande compositore americano Elliott Carter ci ha lasciati oggi.

Riporto un articolo scritto qualche anno fa in occasione del suo centesimo compleanno.


L’11 dicembre di quest’anno (2008) il grande compositore americano Elliott Carter compirà cento anni, essendo nato nel 1908.
E’ già, in sé, un dato eccezionale il fatto che una persona arrivi a cent’anni di età, ma è ancora più straordinario che un uomo possa scrivere musica per ottant’anni: infatti il primo pezzo di Carter, una lirica per voce e pianoforte dal titolo My Love Is in a Light Attire, è del 1928; ed allo stato attuale delle cose, anno 2008, il Maestro ha appena ultimato un nuovo concerto per flauto ed orchestra.

Insomma si tratta di una carriera assolutamente fuori dal comune se non unica, eccezion fatta, forse, per il compositore e pianista Leo Ornstein (1893-2002[!]), il cui ultimo brano scritto risale al 1990, ed il primo intorno ai primi del’900, senza una datazione sicura.

Dopo la scomparsa dei grandi rappresentanti dell’avanguardia compositiva della seconda metà del secolo e di questo inizio di millennio (Xenakis [1922 - 2001], Berio [1925 - 2003], Ligeti [1923 - 2006], Stockhausen [1928 - 2007]) Carter, insieme a Boulez (1925) Kurtág (1926) e Henze (1926), è uno degli ultimi grandi musicisti della vecchia generazione, che rappresentano l’ultimo fortissimo legame diretto con l’avanguardia musicale degli anni ’50 anche se la poetica di Carter, dal punto di vista linguistico, con la Scuola di Darmstadt non ha sostanzialmente nessuna relazione. Il Maestro è infatti un outsider, una compositore dal linguaggio estremamente personale che non aderisce a nessuna scuola, pur avendo studiato e tenuto conto delle più importanti istanze stilistiche del XX secolo; secondo Pierre Boulez, “ il linguaggio di Elliott Carter è sicuramente uno dei più originali del nostro tempo e il suo cammino di compositore uno dei più notevoli”.

Dopo questa breve introduzione, esaminiamo un po’ più da vicino l’iter di studi ed esperienze che ha portato questo compositore a sviluppare un linguaggio così originale e inconfondibile.

Nato a New York da famiglia agiata (il padre è commerciante di merletti), il giovane Elliott comincia a studiare pianoforte privatamente intorno ai 10 anni di età, ma la decisione di diventare compositore nasce intorno al 1923 , come una folgorazione, dall’ascolto del Sacre du Printemps di Stravinskij. E’ importante conoscere la data poiché se per noi il Sacre è ormai un monumento consacrato dalla Storia (la data di composizione è il 1913), per un ascoltatore del 1923 era musica del proprio tempo, viva e pulsante, perciò tanto più sconvolgente e dirompente (caratteristiche, peraltro, che gli anni non hanno minimamente scalfito: si può dunque immaginare come suonasse alle orecchie di un contemporaneo). Carter prosegue nella scoperta della musica contemporanea facendo la conoscenza della musica (e anche della persona) di Charles Ives (da cui venne caldamente incoraggiato a studiare composizione) e delle composizioni di Varèse, recandosi al Metropolitan Opera ad ascoltare la prima americana del Wozzeck di Berg diretto da Leopold Stokowski e venendo a contatto con la musica della seconda scuola di Vienna (Schoenberg, Berg e Webern) attraverso alcuni viaggi in Germania che compie durante gli anni del liceo.

Si iscrive quindi all’università di Harvard, studiando con vari maestri, tra cui Gustav Holst e Walter Piston; all’università prosegue nella scoperta della musica contemporanea andando ad ascoltare i concerti della Boston Symphony Orchestra diretta da Sergej Kussewitzky, ma approfondisce anche lo studio dei classici leggendo innumerevoli partiture al pianoforte, cantando in un coro che ha in repertorio le Cantate di Bach e la musica madrigalistica rinascimentale, e andando ad ascoltare le opere di Musorgskij, R. Strauss e Wagner: insomma si tratta di uno studio a 360°, che verrà ulteriormente approfondito dopo la laurea.

Dal 1932 al ’35 si reca infatti a Parigi per studiare con Nadia Boulanger, compositrice e straordinaria didatta, nella cui scuola si sono formati molti importanti musicisti, tra i quali possiamo citare Aaron Copland, Jean Francaix, Virgil Thomson, Leonard Bernstein e lo stesso Walter Piston.

Sotto la guida della Boulanger studia la musica medioevale e la polifonia fiamminga, oltre a Bach e la musica dello Stravinskij neoclassico, di cui la Boulanger è un’accesissima ammiratrice e sostenitrice. Oltre a ciò Carter non trascura la formazione di una cultura generale che corroborerà la sua attività di compositore: studia il latino ed il greco antico e compie studi di filosofia, matematica e lingua e letteratura inglese; è inoltre poliglotta (parla correntemente quattro lingue, tra cui l’italiano) e possiede una profondissima conoscenza della letteratura e dell’arte figurativa.

Tornato in America, è attivo sia come compositore che come critico musicale, cosa che gli permette di essere sempre informato sulle novità e recensirle per varie riviste specializzate.

Diviene dapprima direttore musicale dei Ballet Caravan di New York (1937-39) e dal 1940, oltre alla duplice attività di compositore e critico, si dedica anche all’insegnamento presso prestigiosi istituti, tra cui la Columbia University e il Queens College di New York, il Massachussetts Institute of Technology di Cambridge e la Juilliard School of Music di New York.

Gli esordi di Carter come compositore lo vedono influenzato da Ravel e dal neoclassicismo stravinskiano (filtrato attraverso lo studio con la Boulanger). In questo primo periodo creativo, il compositore scrive musica per teatro, per balletto, orchestrale, da camera, corale e per pianoforte. Vi è quindi una ricca messe di brani, tra i quali possiamo ricordare i due balletti Pocahontas (1939) e The Minotaur (1947), la Prima Sinfonia (1942), la Holiday Ouverture per orchestra (1944), la Sonata for Piano (1945-6). Sono brani di stile neoclassico, di grande vigore ed inventiva, in cui Carter dimostra di aver raggiunto una vera padronanza dei propri mezzi espressivi, uniti ad una tecnica compositiva e dell’orchestrazione veramente straordinarie; il giovane compositore è già un maestro, la cui personalità può tranquillamente rivaleggiare con i migliori musicisti della sua generazione.

Ma Carter, pur rendendosi conto dell’alta qualità dei propri lavori, non ne è soddisfatto dal punto di vista dell’innovazione linguistica, poiché sente di dover dire qualcosa di più, qualcosa di personale che gli permetta di trovare una vena creativa veramente originale. Ed è a questa ricerca che egli si vota negli anni successivi, fino alla formulazione di un suo stile personale, cosa che avviene nel 1951, a quarantatre anni, dunque relativamente tardi, con il Primo Quartetto per archi. E’ una data importante per il compositore poiché, oltre a trovare una cifra stilistica originale, attraverso quest’opera giunge alla fama internazionale. Da questo momento in poi il Maestro sciorina una serie impressionante di lavori per ogni genere di organico, come solitamente avviene per chi ha trovato una vena feconda: Eight Pieces for four Timpani, Sonata for Flute, Oboe, Violoncello and Harpsichord, Variations for Orchestra, String Quartet N° 2, Double Concerto per clavicembalo, pianoforte e due orchestre da camera (di cui Stravinskij disse essere “il primo vero capolavoro della musica contemporanea americana”), Concerto for Piano and Orchestra, Concerto for Orchestra, String Quartet N° 3, A Mirror On Which To Dwell per voce e strumenti, Voyage per voce ed orchestra, A Symphony of Three Orchestras, Syringa per mezzosoprano e strumenti, Night Fantasies per pianoforte, In Sleep, In Thunder per tenore e 14 strumenti, Changes per chitarra, Penthode per 5 gruppi di 4 strumenti, String Quartet N° 4, per citare i lavori più significativi.

Intorno alla metà degli anni ’80 la produzione del Maestro registra un’ulteriore impennata, dovuta al fatto che il suo stile si è consolidato, e nel frattempo stemperato liricamente: l’estrema complessità della sua musica precedente (parleremo più avanti delle caratteristiche principali del linguaggio di Carter) si allenta senza perdere in vigore ed efficacia, e guadagna un più ampio respiro melodico e articolativo. A questo periodo, che comincia nelle metà degli anni ’80 e non si è ancora concluso, e che vede la fama di Carter diventare planetaria (le sue opere vengono ormai commissionate dalle più importanti istituzioni musicali a livello mondiale e sono vincitrici di numerosi premi internazionali, tra cui il Pulitzer), appartiene un enorme numero di lavori per ogni genere di organico: Oboe Concerto, Three Occasions per orchestra, Violin Concerto, Symphonia: sum fluxae pretium spei per orchestra, Clarinet Concerto, What Next? (l’unica opera lirica che Carter – finora – ha scritto, del 1997/98), ASKO Concerto per grande ensemble, Cello Concerto per violoncello e orchestra, Of Rewaking per mezzo soprano ed ensemble, Boston Concerto per orchestra, Dialogues per pianoforte ed ensemble, Réflexions per orchestra, più una elevatissima quantità di brani per strumento solista e per svariati ensembles da camera, tra cui possiamo menzionare Mosaic per ensemble (2004) e Tempo e Tempi per voce e strumenti (1999). La prolificità di Carter è prodigiosa, solo nel 2007 il Maestro ha prodotto i seguenti lavori: Interventions per pianoforte e orchestra, Clarinet Quintet per clarinetto e archi, Figment III per contrabbasso solo, Figment IV per viola sola, HBHH (2007) per oboe solo, Mad Regales per 6 voci soliste, Matribute per piano solo, La Musique per mezzosoprano solo, Sound Fields per orchestra d’archi, Elegy per violoncello e pianoforte (nuova versione di un brano che il Maestro scrisse nel 1929). In questi primi mesi del 2008, come già ricordato all’inizio dell’articolo, ha ultimato Flute Concerto per flauto e orchestra, che verrà eseguito in prima assoluta prossimamente.

Quali sono dunque le caratteristiche del linguaggio di Carter, che ne fanno un compositore assolutamente originale nel caotico e variegatissimo panorama musicale attuale?.

Come abbiamo prima ricordato, il compositore parte da posizioni neoclassiche, dovute alla sua passione per la musica di Stravinskij, unita ai severi studi con Nadia Boulanger. In sostanza si tratta di uno stile ancorato alla tonalità, seppur filtrata da dissonanze ed “acidità” ritmiche, articolative, formali e timbriche che non potrebbero assolutamente essere concepite da un autore del passato, che appartenesse realmente al periodo classico; è dunque una rivisitazione degli stili musicali dei secoli precedenti, visti attraverso una prospettiva “sghemba”, stravinskiana o picassiana che dir si voglia: un esempio per tutti è il Pulcinella di Stravinskij, dove la musica del Settecento (di Pergolesi, ma anche di altri autori minori) viene sottoposta ad un lavoro di corrosione dei parametri, che ne fa un lavoro nuovo ed originale. Dopo aver composto alcuni straordinari lavori, che abbiamo precedentemente menzionato, in questo stile, Carter comincia a meditare sulla ricerca di un linguaggio nuovo, concentrandosi soprattutto su un parametro ancora non sufficientemente esplorato, ovvero il ritmo. Ed è nel 1948 che troviamo, e precisamente nella Sonata per Violoncello e Pianoforte, la presenza di una tecnica che è uno dei marchi di fabbrica carteriani, ossia la cosiddetta “modulazione metrica”. Si tratta di un espediente atto a creare un passaggio graduale da una velocità di pulsazione ad un’altra senza soluzione di continuità: data una velocità di pulsazione (in cui l’unità di misura sia, poniamo, la quartina di sedicesimi), una determinata figura, ad esempio una quintina di sedicesimi, avrà una velocità proporzionale all’unità di misura, ovvero 5 nel tempo di 4; ebbene, se questa velocità sarà a sua volta assunta come nuova velocità di pulsazione, divenendo (ecco attuata la modulazione) la velocità di una nuova quartina di sedicesimi, quindi creando un tempo più veloce, a sua volta la quintina di sedicesimi subirà un processo di velocizzazione. Si verifica così un passaggio (una modulazione appunto) verso un tempo nuovo, una nuova pulsazione, che avviene in maniera proporzionale e che crea una fluidità ritmica senza precedenti. Un anticipo di questa tecnica si ha nelle Sinfonie di Strumenti a fiato di Stravinskij (1920), ma in Carter il procedimento è assai più complesso e sistematico. Nella stessa Sonata sopra menzionata Carter applica anche un altro procedimento ritmico, ovvero affida alle tre parti (violoncello e le due mani del pianista) diverse figure ritmiche fisse all’interno della stessa pulsazione di base, cosicché si ha l’impressione che vi siano differenti piani temporali che scorrano parallelamente come nastri di diverse velocità: ed anche questo è un procedimento nuovo, che ritroveremo sistematicamente pressoché in tutta la sua musica successiva. Ma la Sonata per Violoncello e pianoforte rimane, pur presentando innovazioni linguistiche così importanti, un’opera di passaggio, poiché permangono a livello armonico (e talvolta anche a livello ritmico) elementi dal sapore neoclassico, quindi in qualche modo ancorati al linguaggio tonale. Come abbiamo precedentemente affermato, il brano che segna definitivamente una svolta è il Primo Quartetto per archi in cui, oltre alle innovazioni ritmiche di cui sopra, si trovano novità di carattere armonico: sono presenti gruppi di 4 (che in altre composizioni diventeranno 5 o più) note, all’interno dei quali vengono ricavati tutti gli intervalli possibili raggruppati in coppie, e che a loro volta generano una serie di accordi regolati da diverse combinazioni armoniche in cui le relazioni, che sono organizzate con grande rigore, evitano attentamente ogni istanza di carattere tonale ma non sono dodecafoniche. Ciò dà origine a eventi sonori inediti che, uniti ad una ricerca timbrica estremamente minuziosa (ciò diviene assai evidente, com’è ovvio, nei pezzi per orchestra) nella quale la tavolozza coloristica del Maestro sembra inesauribile, generano una musica veramente nuova, uno stile originale ed inconfondibile.

La musica di Carter possiede un fascino singolare, una strana freddezza mista ad un forte contenuto emotivo: è decisamente assai complessa, dissonante e non accattivante, nel senso che il Maestro non scrive per piacere al pubblico, né per ingraziarsi folle oceaniche di ascoltatori; è spesso difficile, di non immediata comprensione, e come molta musica contemporanea, soprattutto per coloro che non ne sono avvezzi, abbisogna di reiterati ascolti per cogliere in profondità tutte le bellezze di cui è disseminata. Carter non segue le mode facili ed immediate, anzi diffida di chi le persegue per il mero successo e ritiene che la strada per trovare il proprio linguaggio sia tortuosa e piena di asperità: il consiglio che dà ai giovani compositori è “cercate voi stessi”. La sua musica è però sempre di forte impatto comunicativo: nei gesti, nelle figure musicali vi è grande calore e vigore, un’energia e una vitalità straordinarie. Non vi è dunque solo un grande impegno intellettuale, ma anche una grande attenzione ai valori della comunicazione e dell’emozione, ed è perciò che possiamo parlare di “umanesimo” della musica carteriana: è una musica scritta da un uomo per gli uomini, e tale è la varietà di comportamenti che in essa sono profusi, che in ogni evento sonoro di cui è composta presenta una sorta di mimesi delle infinite sfumature dei moti dell’animo umano. E prova ne è il fatto che ogni evento, in questa musica, non si ripete mai uguale a se stesso: vi è una continua trasformazione degli elementi, ed anche questa è una mimesi dell’incessante metamorfosi della vita umana; ma lo è anche dell’arco dell’esistenza stessa: il cammino in continua trasformazione di un essere umano che nasce, vive, si sviluppa e si spegne in un soffio. Così è per le opere di Carter, in cui la conclusione non è retoricamente preparata: non finiscono, semplicemente smettono in una chiusa che è quasi sempre p o pp ed evita ogni magniloquenza di un finale roboante e teatrale. E’ dunque anche una musica che evita accuratamente il tranello della retorica: non è mai tronfia, ostentativa, in essa vi è sempre un rifuggire da espedienti accattivanti; e quando un gesto è ampio, disteso, e potrebbe suggerire una retorica, è in realtà sempre sincero e convincente nel suo afflato comunicativo, nel tentativo di trovare un ponte tra gli uomini e di parlare una lingua che possa essere accessibile ai più, se non a tutti. Ed è per queste ragioni che riteniamo che Elliott Carter sia semplicemente una delle voci più originali, coraggiose ed autorevoli del nostro tempo.

Giugno, 2008

28.7.12

à BEC - première

DUO NOVECEMBALO
Chiara Agosti (flute) and Diadorim Saviola (harpsichord) from Italy, will perform

Bagatella in duo (2001), Fulvio Caldini (1959)
From 99 short pieces on novECEmBAlo written for Novecembalo
Sigletta, Andrea Basevi
Ottocembalo, Luigi Ferro
Eceba, Gianfranco Gioia
Bella (con Moscone e cucù), Giovanni Guanti
Eceba Terza, Fabrizio Festa
à BEC, Rossano Pinelli
Scherzo, Gianluca Cascioli
Hands on Harpsichord, Roberto Bonati
Scherzino, Massimo Graziato
Gemma, Federico Favali
Naiade, Alessandra Bellino
Cemboflutta, Franco Feruglio
Il Pianto della Quaglia, Galina Gorelova
Per i Bambini del Mondo, Luigi Morleo
I Spunsara, Alessandra Ciccaglioni
Eceba, Nik Comoglio
Il Pianto di Orfeo, Maurizio Azzan
Sonata (1973), Mario Bugamelli (1905-1978)