19.12.22

Recensione di Olmo Chittò

Sul numero 179 di ottobre 2022 di Brescia MUSICA è uscita la recensione del disco  Nôtre-Dame de le Babenzele a firma di Olmo Chittò.
Vi riporto le sue parole, buona lettura.

Nôtre-Dame de la Babenzele
Rossano Pinelli
Giovanni Mancuso e Andrea Rebaudengo, pianoforte 
Stradivarius, 2022 – STR 37223

 

Nôtre-Dame de la Babenzele si presenta con la consueta veste grafica destinata da Stradivarius ai suoi digipack. Il nome del compositore e il titolo dell’album campeggiano sopra la foto di copertina, di Elisabetta Scalvini. Pinelli opta qui per degli intrecci tra alberi di ailanto stagliati sull’azzurro del cielo, un subliminale trait d’union tra le slanciate cattedrali gotiche (Nôtre-Dame) e la rigogliosa natura centrafricana (Babenzele)? Più sotto troviamo gli esecutori e il logo della Stradivarius affiancato da quello del Teatro Grande, ospite del concerto avvenuto nel Ridotto del Teatro il 13 dicembre 2021 da cui il disco ha preso spunto e a cui ho avuto la fortuna di assistere. Non è dunque solo la mia immaginazione che mi suggerisce le inusitate difficoltà con cui il direttore delle registrazioni Nicola Ziliani è riuscito ad ammansire le pervicaci intrusioni dell’opulenta acustica marmorea – fin troppo generosa – del Ridotto. E nonostante questa sia stata magistralmente tenuta a bada, un po’ rimpiango che il concerto non si sia tenuto nella Sala Grande. Avrei infatti tratto dalla bellezza di quest’opera un doppio godimento: la prima volta il 13 dicembre; le volte successive durante l’ascolto del disco per questa recensione. 
Nôtre-Dame de la Babenzele è una monografia su Rossano Pinelli dedicata ai suoi maggiori lavori per pianoforte solo e pianoforte a quattro mani, culminati nel 2020 con l’opera che dà il titolo al disco. Gli specialisti a cui è stata affidata l’interpretazione sono Andrea Rebaudengo, pianista di Sentieri Selvaggi e Giovanni Mancuso, geniale compositore veneziano che talora veste i panni del fanatico post-zappiano e talaltra quelli di eccellente interprete. Formalmente, la scelta di riservare i brani più corposi a inizio e fine disco è del tutto logica: la versione di Švejk Studio di 10’13’’ in apertura è quella del 2019, a quattro mani, che riscrive con aggiunte e intensificazioni un analogo lavoro del 2007 composto per pianoforte solo e ispirato dal romanzo satirico Il buon soldato Švèik, di Jaroslav Hašek. Il romanzo incompiuto di Hašek è all’origine anche di Opodeldok – per voce recitante, pianoforte e percussioni – di un anno precedente e da cui lo Švejk Studio attinge alcune scelte strutturali e parzialmente anche nel contenuto, oltre che nei più generali termini di fonte d’ispirazione per il compositore, fortemente legato all’opera dell’autore praghese.
Una delle cose che mi ha stupito di più della produzione inclusa in quest’album e che risulta evidente già all’ascolto del secondo brano è l’incredibile varietà di sentimenti espressa, pur presentati nell’unità stilistica. Abituato cioè a un Pinelli vigoroso, energico, quasi rabbioso – che pure non difetta nella raccolta – sono stato stupito da pezzi delicati e onirici come A, con le sue quinte eteree, o mesemerici e scintillanti come Colours. Non mancano però brani schiettamente irruenti come Tango, minimali come Electric Sheep o ironici, come Zenit, eversivo tunnel ipnagogico di chiara matrice vessativa – da Vexations, di Erik Satie – cosicché, nel complesso, questo disco scorre estremamente bene, confermando quella sensazione di brevità che ho provato durante il live e che si prova in quei casi in cui la musica è bella e fluisce e una volta finito il concerto se ne vorrebbe ascoltare ancora.
D’altronde, il tempo passa più veloce quando ci si diverte. Conclude la monografia Nôtre-Dame de le Babenzele, imponente lavoro di Pinelli ispirato a due delle sue grandi passioni: la musica della scuola di Nôtre-Dame e quella dei Pigmei Aka noti anche BiAka, Bayaka o Babenzele. Questo brano, che da solo occupa più di un buon terzo del disco (21’21’’) può ritenersi senz’altro un capolavoro di sincretismo musicale, un manifesto di quel crossover che ravviva la musica contemporanea portandola in una dimensione atemporale in quanto la stessa dimensione spaziale – ben rappresentata simbolicamente dalla distanza tra Parigi e la Repubblica Centrafricana – viene qui quasi annullata per esprimere qualcosa di universale, idea rafforzata dal genuino spaesamento metrico ingenerato dall’illusione di stare ascoltando musiche che vanno a velocità diverse. Pinelli, venuto a contatto con la musica africana più di quarant’anni fa – e avendola affrontata con testi specialistici come ad esempio African Polyphony and Polyrhythm dell’etnomusicologo Simha Arom – effettua in questo brano una continua interpolazione di microcellule compositive che, brulicando dal severo incipit leonino – lo è il ruggente pianismo qui espresso, certo, ma quello di Léonin (1135-1201 ca.), che assieme a quello di Pérotin (1160-1230) è anche l’unico nome a noi giunto di compositori al servizio della scuola musicale di Nôtre-Dame e a cui, nella nostra tradizione, si imputa l’inizio della polifonia – e passando per i quadrupla creano poco a poco quella chimera metronomica tipica di esperienza come le complesse poliritmie della musica babenzele. In tutti i brani i tempi scanditi sono rigorosi, gli incastri millimetrici e accurati, analitici. Quando suonano a quattro mani l’entità generata è quella del superpianista ma quando si avvicendano emerge – a viva forza, certo, ma pur sempre desunta da microscopici dettagli – la differente provenienza degli interpreti: da un lato l’approfondito studio della composizione oltreché delle tastiere elettroniche dell’onnivoro Mancuso, dall’altro la tradizione del grande Novecento, incarnata dal tocco straordinariamente sensibile di Rebaudengo. I due ora si alternano ora tornano a suonare assieme con un pianismo senza fronzoli e una buona dose di sangue freddo. La bravura degli interpreti, la varietà nell’unità e la qualità del materiale sono senz’altro alcuni dei punti di forza di un lavoro che merita più di un ascolto. In attesa di una replica dal vivo, comprate il disco.