12.7.23

Milan Kundera

In ricordo di Milan Kundera

Ho scritto questo articolo nel 2009 per il suo 80°compleanno e lo ripropongo in occasione della sua scomparsa (11 luglio 2023).
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Il 1° Aprile di quest’anno il grandissimo scrittore cèco Milan Kundera ha compiuto 80 anni, essendo nato nel 1929 a Brno, in Moravia.

Kundera come romanziere non ha bisogno di presentazioni. Da Amori ridicoli (1963) a L’ignoranza (2001), il Maestro ha sfornato una serie di capolavori che ne hanno fatto uno dei più grandi scrittori dell’ultimo secolo, caratterizzati da una capacità di analisi e penetrazione dei moti instabili dell’animo umano, unita ad una maniacale cura dei dettagli della scrittura, che comunque risulta incredibilmente naturale e scorrevole, un miracolo di equilibrio.

Ci si può chiedere il perché della celebrazione di uno scrittore in una rivista musicologica.
La ragione è che Kundera, e questo forse è un lato un po’ meno noto della sua personalità al grande pubblico, è anche musicista. Il padre era pianista e anche lo scrittore stesso ha compiuto studi di pianoforte; inoltre ha studiato composizione con Pavel Haas, compositore cèco allievo di Janáček e purtroppo deportato nel campo di concentramento di Terezin ed in seguito morto ad Auschwitz.
Chi conosce Kundera sa che vi è una massiccia presenza della musica nei suoi scritti, sia nei romanzi che nella produzione saggistica. La conoscenza della musica è da parte dello scrittore moravo assolutamente professionale, e i suoi saggi che trattano di musica denotano grande preparazione, acutezza ed estrema lucidità di pensiero: la sua capacità di andare in profondità nell’osservazione è altrettanto efficace che nei romanzi, e le idee che il Maestro sostiene possiedono la forza delle cose dette la prima volta, tanta e tale è la chiarezza di pensiero e la forza di convinzione che le sue parole contengono. Essenzialmente antiromantico, Kundera rivolge l’attenzione a compositori per i quali la prima preoccupazione è la struttura compositiva, unita alla più bruciante verità espressiva priva di retorica: Bach, Beethoven, Stravinskij, Xenakis, per non parlare di Leoš Janáček, il compositore cui è più legato per ragioni anagrafiche e geografiche, nonché personali.
Kundera aborre il sentimentalismo ed il kitsch. Il kitsch è l’apoteosi dei luoghi comuni, è il cattivo gusto portato a categoria estetica: retorica, estremo sentimentalismo traboccante appunto di (buoni) sentimenti. Sono i cascami del Romanticismo, e dietro il sentimentalismo del kitsch appaiono le dittature, le quali esaltano ogni genere di retorica e trionfalismo, manifestazioni delle “ragioni del cuore”. Lo scrittore celebra la bellezza della “non-sensibilità” di fronte alla “sensibilità [...] della soggettività umana, aggressiva ed ingombrante”. Il sentimento come ricettacolo, veicolo e giustificazione della barbarie, gli atti peggiori compiuti in nome di fortissimi sentimenti come il patriottismo – e non a caso Kundera, emigrato a Parigi in seguito all’invasione sovietica della Cecoslovacchia, nel ciarpame retorico e sentimentale ravvisa lo spettro della dittatura: ciarpame che costituisce l’ossatura della macchina celebrativa tipica del realismo socialista, così come di ogni regime dittatoriale. Ed è sintomatico che Kundera veda in un autore come Iannis Xenakis (1922-2001), compositore greco emigrato a Parigi e autore di brani dalla struttura estremamente complessa ricavata da ardui processi matematici, il “profeta dell’insensibilità”: ovvero colui che, attraverso la formulazione di strutture intricatissime, ispirate da manifestazioni sonore globali come il frinire delle cicale, il movimento delle nubi, il ticchettio della pioggia o altri fenomeni naturali, si propone di riprodurre una sonorità oggettiva del mondo, di fronte al bisogno della musica di esprimere una soggettività: “può giungere il momento (nella vita di un uomo come in quella di una civiltà) in cui il sentimentalismo (sino allora considerato una forza capace di rendere l’uomo più umano e di mascherare la freddezza della sua ragione) si rivela di colpo la ‘superstruttura della brutalità’, sempre presente nell’odio, nella vendetta, nell’entusiasmo per le vittorie cruente. E’ stato allora che la musica mi è apparsa come il rumore assordante delle emozioni, mentre il mondo dei rumori nelle composizioni di Xenakis è diventato bellezza: la bellezza depurata dal sudiciume affettivo, spogliata dalla barbarie sentimentale”. La lunga citazione è doverosa per sottolineare quanto sottile sia l’intuizione kunderiana sul sentimentalismo presente non solo in molta musica, ma anche nella modalità di fruizione della stessa che la stragrande maggioranza degli ascoltatori mette in atto.

Esegeta del romanzo, Kundera nei suoi saggi traccia spesso un parallelo tra la storia del romanzo e la storia della musica, ed individua assai acutamente una storia della musica e del romanzo in due tempi, ove per primo tempo si intenda un periodo “oggettivo”, in cui l’espressione individuale dell’artista è subordinata – benché l’anelito all’”espressione” sia sempre presente – al controllo della struttura formale, e la ragion d’essere dell’arte non è l’espressione di sé, dell’individuo, bensì la costruzione di un oggetto – sonoro o verbale – che risponda alle caratteristiche di equilibrio e perfezione strutturale; il secondo tempo è invece caratterizzato da un’irruzione dell’io soggettivo nell’opera d’arte, sia nel romanzo che nella musica, con Beethoven (sebbene il controllo formale sia sempre totale) e con gli scrittori naturalisti francesi (Balzac, Gautier, Flaubert, ecc.). Ora, se per la musica la separazione tra i due tempi avviene intorno alla metà del XVIII, per il romanzo detta separazione si situa intorno al XIX secolo, e in entrambi gli ambiti consiste in uno spartiacque fra due concezioni basilari: 1) musica polifonica (ovvero un intreccio di linee melodiche nessuna delle quali sia predominante sulle altre) e 2) musica in cui l’elemento principale è la melodia accompagnata (quindi debitrice di una concezione verticale, armonica); 1) romanzo “polifonico” (in cui non è presente un’esaltazione dell’io soggettivo ma la narrazione parallela di fatti ed eventi ed il frequente intrecciarsi di storie personali senza che nessuna prenda il sopravvento sulle altre: ad esempio in Boccaccio – grande precursore -, Rabelais, Cervantes, Sterne) e 2) romanzo ottocentesco, in cui vi è un estremo razionalismo guidato dall’estetica dell’assoluta verosimiglianza, un unico intreccio e la grande attenzione al protagonista (cui ruotano attorno comprimari e personaggi secondari) ed all’espressione soggettiva dei sentimenti. Insomma alla base di questa concezione vi è la convinzione che il secondo tempo della storia della musica (così come succede al secondo tempo della storia del romanzo) costituisca una sorta di impoverimento compositivo (semplici elementi melodici accompagnati da una concatenazione di accordi) rispetto alla ricchezza del fiume polifonico che caratterizza la musica del primo tempo, il cui culmine storico è J.S. Bach: il sommo compositore tedesco rappresenta per lo scrittore moravo la summa teologica della musica del primo tempo e l’attenzione, l’ostinazione con cui Bach si rivolge negli ultimi anni della sua vita ad una polifonia sempre più austera ed essenziale (come ad esempio nell’Arte della Fuga) mostra il desiderio di contrastare con forza il depauperamento verso cui la musica stava dirigendosi (lo stile galante, rococò, che “spesso rasenta la frivolezza o l’indigenza”). Come Bach viene dunque ritenuto un crocevia fondamentale tra i due tempi della storia della musica, così Kundera individua, con brillante intuizione, altri punti nodali della storia della musica nelle figure di Monteverdi (nella sua differenziazione tra “prima e seconda pratica”), Beethoven (nel suo ripristino della polifonia bachiana – nell’ultima produzione – in nome di una sintesi grandiosa tra la fuga e la forma-sonata, dunque tra polifonia e omofonia, dunque tra primo e secondo tempo), Stravinskij (nel ripercorrere tutta la storia della musica nelle sue peregrinazioni compositive, dalla musica popolare [tutto il primo periodo dall’Oiseau de feu a Les Noces], a Perotinus e Guillaume de Machaut [la Messa], a Bach [Ottetto per strumenti a fiato], alla musica del ‘700 napoletano [Pulcinella], a Rossini [Jeu des Cartes], a Čajkovskij [Baiser de la fée], a Verdi [Oedipus Rex] a Webern [in tutta la produzione dal 1952 in poi], al jazz [Piano rag music, Ragtime per 11 strumenti, Histoire du Soldat, Ebony Concerto]).

L’attenzione alla musica nella produzione kunderiana non si manifesta solo nello scrivere direttamente saggi su di essa, ma anche in un modo più sottile e nascosto, come ad esempio nella struttura compositiva di alcuni dei suoi scritti letterari: un esempio per tutti, il suo romanzo Il libro del riso e dell’oblìo, che è pensato in forma di tema e variazioni (sette, per la precisione). E questa traslazione della forma musicale in ambito letterario viene osservata da Kundera nella produzione di altri autori, ad esempio in Hermann Broch (I sonnambuli) o Salman Rushdie (Versi Satanici), entrambi scritti in una forma che, per l’alternanza di idee tematiche che in essi si ritrova, può essere assimilata alla forma-rondò (ricordiamo per inciso che il rondò è quel tipo di composizione in cui un tema principale, che chiamiamo A, si alterna di continuo a temi secondari, donde ne risulta una forma così strutturata: ABACADAEA... ecc.).

E sempre in letteratura il Maestro moravo sottolinea il valore SONORO, musicale della parola, ad esempio nelle ripetizioni a breve termine che si trovano nella produzione di Kafka (cogliendo l’occasione per una tirata contro i traduttori, i quali soffrono generalmente - a detta di Kundera, e la questione ci trova perfettamente d’accordo - del male di continuare a modificare la traduzione della stessa parola con dei sinonimi per evitare ripetizioni: ripetizioni che evidentemente nel testo originale assumono un valore musicale, sonoro, il quale deve assolutamente essere rispettato in una traduzione che voglia essere rigorosa) o nella particolare struttura incantatoria che le frasi possiedono nelle opere di Hemingway: non solo lo scrittore americano ha saputo cogliere la struttura del dialogo reale, ma ha anche saputo dare alle frasi un’unità melodica in forza delle ripetizioni presenti, che conferiscono ai dialoghi sia naturalezza (l’assoluta spontaneità delle conversazioni quotidiane) che musicalità.

E il valore sonoro della parola riporta alla ricerca della verità in Janáček, su cui Kundera scrive un intero capitolo ne i Testamenti traditi (saggio che, insieme a L’arte del romanzo, Il sipario e Un incontro, costituisce il corpus di scritti nei quali lo scrittore si occupa diffusamente di musica). Janáček, dice Kundera, risulta essere rivoluzionario non solo per la novità e l’unicità del suo linguaggio musicale, ma anche e soprattutto perché ha portato la prosa nell’opera lirica (occorre ricordare che la produzione operistica di Janáček è una delle più vaste e innovative del ‘900). Tale introduzione “nell’opera lirica risulta [...] scandalosa, audace, sorprendente, perché in contrasto con il principio dell’irrealismo e con quello della stilizzazione estrema che sembravano inseparabili dall’essenza stessa dell’opera”. Ovvero Janáček arriva alla verità più nuda e cruda, priva di fronzoli, non tramite l’utilizzo della parola esposta in forma poetica, il che comporta un’artefazione, ma attraverso la parola de-poetizzata, semplice, diretta, priva di ogni retorica. Ciò è dovuto anche alla ricerca incessante che il compositore ha operato nel trasformare la parola viva in musica: Janáček infatti per anni trascrisse frammenti di conversazioni tra persone incontrate per strada e traendone melodie che ricalcano letteralmente l’intonazione ed il ritmo delle voci sulla parlata della lingua cèca, fissando esattamente altezze e durate. Tale attività ha influito sull’ispirazione del musicista di Hukvaldy, costantemente alla ricerca della verità espressiva più immediata. E il risultato è tale che Janáček dà vita a melodie talmente urgenti, talmente pregnanti ed incisive nella loro autenticità, che non sono sottoponibili a nessuno degli artifici tipici del bagaglio tecnico di ogni compositore: “sono talmente concise e condensate da escludere quasi ogni possibilità di svilupparle, prolungarle, elabolarle [...]”, pena la snaturalizzazione e la perdita di autenticità ed immediatezza.

Concludendo, con Milan Kundera siamo dunque di fronte ad un grandissimo pensatore anche in campo musicale, non inferiore alla sua statura di scrittore.
Ed è per questo che la lettura dell’opera del grande scrittore moravo, sia che si tratti dei suoi romanzi che dei saggi – e in fondo non vi è una gran differenza, poiché il metodo d’indagine è il medesimo, e medesima la grande capacità di avvincere il lettore – ci permette di avvicinarci ad una delle menti più lucide, illuminanti e profonde della cultura mondiale e risulta sempre essere un toccasana contro la barbarie sentimentale del mondo e la triste e vuota retorica di cui gli avvenimenti quotidiani sono intrisi.